Fan fic su Toushiro

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Yonoa
view post Posted on 19/10/2007, 14:51




Allora ho voluto creare questa stanza per postare alcune fic riguradanti Toushiro...

La prima che metto è questa Alcyon Days *La fic non l'ho scritta io ma kodamy*

Bene vi auguro buona lettura ^^

L’ombra si muoveva furtiva nella notte, premurandosi di non fare il minimo rumore. Il rumore, infatti, ne avrebbe potuto disturbare l’udito, teso a cogliere ogni più piccolo cambiamento nel respiro dell’altra persona presente nella stanza.
Un improvviso battito di ali, fuori dalla finestra socchiusa, la fece trasalire più del dovuto. Inconsciamente, il respiro le si bloccò in gola, facendole arrestare ogni più piccolo movimento mentre, in fretta e furia, si guardava attorno alla ricerca della fonte del rumore.
Nulla.
Nulla di nulla.
Intuito il falso allarme, tentò di calmare il respiro, cavandosela piuttosto egregiamente. I suoi occhi scuri – ormai abituati al buio – lanciarono uno sguardo accusatorio alla finestra: ma, naturalmente, anche lì non videro nulla. Deglutì.
Doveva mantenere la calma: cosa che reputava vagamente difficile, data la situazione.
Le mani le tremarono mentre cautamente si chinava sul futon, sentendo il freddo del tatami in legno che le penetrava i piedi e le ginocchia nude. In silenzio ispezionò le lenzuola macchiate di scuro, prima di gettare uno sguardo al ragazzino che, in quel momento, giaceva sull’altro futon nell’angolo della stanza buia.
Non si era mosso di un millimetro.
Respira anco…?
Non andò a fondo nel pensiero, perché sarebbe sicuramente entrata nel panico.
Aveva sicuramente sognato troppo – ancora una volta. Erano soltanto di residui del sogno, tutto qui.
Si convinse che era colpa di quel qualcosa di strano che si sentiva, quella notte, nell’aria. Un soffio di vento si fece strada tra le ante semi-aperte della finestra - rabbrividì, sentendo più freddo del dovuto alle gambe e all’inguine.
No, no, no, non doveva pensare a cose del genere. Non era il momento di pensare a cose del genere.
Certo che respira, sciocca.
Aveva sicuramente cose più importanti di cui occuparsi.
Piano si protese sulle lenzuola, incerta sul come procedere facendo il minor rumore possibile. Ne sfiorò l’orlo, ripiegandolo appena su sé stesso, prima di…

“L’hai fatto di nuovo.”
La voce secca alle sue spalle – quel tono annoiato che conosceva troppo bene – la fece saltare sul posto dopo quattro piccoli infarti di fila. Un gridolino le sfuggì dalle labbra, prima che potesse provare a trattenerlo.

“D-di cosa stai parlando, Shiro-chan?” arrangiò lei, con vocina piccola piccola ed imbarazzata, arrotolando furiosamente le lenzuola e nascondendole dietro la schiena, prima di voltarsi verso il ragazzino. Sul suo viso, l’espressione colpevole che avrebbe un bambino scoperto a rubare i regali dal sacco di Babbo Natale.
Gli occhi verdi di lui, perfettamente vivi, svegli e seriamente divertiti, la guardarono dal basso. Il loro proprietario arricciò il naso a quel nomignolo, ma – stranamente – non disse nulla al riguardo.
Probabilmente perché aveva ben altro materiale, con cui replicare.

“Hai di nuovo bagnato il letto.” rispose, con quel tono pratico e serio, battendo ciglio. Lei avrebbe riso – come sempre si ritrovava a fare davanti a quell’espressione - se la situazione non le stesse suggerendo di prendere il pozzo più vicino e gettarvisi dentro.
I capelli neri le nascondevano il viso, ma certamente non riuscivano a nasconderne l’imbarazzo.
Lo capiva dal modo in cui la fissava.

“Io non-“

“Ma puzzi, Momo. Hai di nuovo bagnato il letto.” ragionò lui, candidamente. Sembrava ancora vagamente assonnato dietro quella tenda di capelli bianchi, pensò lei, e se la fortuna fosse stata dalla sua parte, magari il giorno dopo non avrebbe ricordato nulla di nulla.
La fortuna non guarda molto da queste parti, comunque.

“N-non ci posso fare niente, io!” si giustificò debolmente, dopo qualche attimo di silenzio, voltandogli le spalle e affrettandosi a ripiegare le lenzuola. Lasciò altalenare lo sguardo da quel fagotto al futon, cercando di pensare chiaramente a cosa fare.

“La nonna sarà semplicemente esasperata.” osservò il ragazzino, sollevandosi sui gomiti e poggiando il mento sui palmi delle mani. Sgambettò un po’ sotto le coperte, sovrappensiero.

“Le laverò io.” tagliò corto lei, fin troppo frustrata per riuscire ad intrattenere un discorso talmente snervante, alzandosi in piedi.
E di nuovo il freddo alle gambe e lì in basso.

Deglutì. Ora doveva solo raggiungere la porta, e…

“Momo, hai le mutandine tutte bagnate.”
Dal suo angolino, Toushiro la guardava innocentemente – non gliela avrebbe mai data a bere – dal basso.
Lei si limitò a batter ciglio, ragionando che, per quella sera, ne aveva avuto abbastanza. Era troppo esasperata per prenderlo a calci, al momento – e qualcosa le suggeriva che sarebbe stato lui a prenderla a calci, se non fosse stato troppo disgustato dal prendere a calci qualcosa zuppo di…
Perché non riesco a farmi rispettare da un ragazzino alto la metà di me?!
… Un po’ difficile, farsi rispettare quando hai le mutande bagnate di…
Interruppe lì il filo dei pensieri, non azzardandosi ad andar oltre.

“Ah, basta! Shiro-chan, quando fai così ti detesto!” sbottò, esasperata, afferrando un angolo del futon con la destra e sollevando il fagotto maleodorante con la sinistra. “Torna a dormire, ti va?” soggiunse, guardandolo da sopra una spalla, prima di lasciare la loro stanza trascinando con sé la scena del ‘crimine’.

“… solo se la smetti di chiamarmi Shiro-chan.” borbottò distrattamente l’altro, alla porta ormai chiusa.


Quando ritornò nella stanza, lui stava già dormendo.
Momo sospirò, scuotendo il capo ed avanzando qualche passo silenzioso sul tatami. Il legno era ancora freddo sotto i piedi nudi, ed apparentemente le sarebbe toccato dormire all’addiaccio.

“Oi, Shiro-chan?” mormorò, con quella voce bassa – quella voce che si addice alla notte, quella voce che, effettivamente, non sveglia nessuno.
Per questo motivo, rimase sorpresa quando gli occhi di Toushiro, lentamente, si aprirono. Lui batté ciglio, una, due volte, quasi a voler focalizzare per bene la figura della ragazzina. Dopodichè, forzò uno sbuffo dalle labbra.

“Che vuoi?”
Adorabile, come sempre.

“Fammi un po’ di spazio.”

“… non se ne parla neanche.”

Alla risposta caustica – quel ragazzino ha sempre espressioni cattive, sul volto – lei si limitò a sbuffare, tirandogli appena la coperta. Un mugolio contrariato sfuggì dalle labbra infantili quando si ritrovò senza la protezione del tessuto, un mugolio ben presto seguito da qualcosa simile ad un ringhio.

“Ti ho detto che non se ne parla neanche! Andrà a finire come l’altra volta, che hai fatto la pipì a letto e mi sono bagnato anche io, ed è una cosa assolutamente disgustosa e…”

“Insomma, Shiro-chan, quanta pensi che ne abbia, in corpo?!” sbottò Momo, frustrata e leggermente imbarazzata al ricordo del risveglio di quella mattina di non molto tempo prima. “Fa freddo, non voglio dormire per terra. Fammi un po’ di spazio.”
Riluttante, il ragazzino acconsentì, spostandosi di qualche centimetro. Lei inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto. Evidentemente, pensava di risultare abbastanza intimidatoria da riuscire a farlo spostare ancora un altro po’, ma si illudeva.
Lui rimase fermo, tranquillamente, lì dov’era.
Sconfitta, Momo si infilò sotto le coperte di quell’angolino, sbuffando. “Eri già sveglio?”

“Ovvio.”
Unico brontolio come risposta. Tuttavia, lei sorrise.

“Scusa per il disturbo.”
Questa volta non rispose, ma preferì voltarle le spalle. Lei batté ciglio, fissando quella zazzera disordinata di capelli bianchi. Nei primi tempi, l’aveva amabilmente detestato con tutta sé stessa, per un unico, semplice motivo: si era talmente abituata ad essere l’unica ad abitare con la nonna, lì nel Rukongai, che il condividerla con qualcun altro le era sembrato un sacrilegio. Non solo era un po’ come essere figlia unica, ma era un po’ come essere figlia unica nel Junrinan: aveva tanto sentito parlare degli altri distretti del Rukongai, da giungere alla conclusione di essere stata decisamente fortunata a capitare lì.
Poi, dopo anni, lui era stato mandato lì. Con la nonna.
Oh, quanto l’aveva detestato, quel ragazzino che borbottava sempre, e che la prendeva sempre in giro con quell’espressione tremendamente seria e da bambino.



“Momo-chan, è arrivato un fratellino. Non dovrai più dormire da sola no? Tu detesti dormire da sola.”

Di primo acchito, lei non rispose, troppo occupata a cercar di studiare quel bambino che ostinatamente si teneva nascosto dietro la manica del kimono della nonna, affacciandosi di tanto in tanto per spiarla con uno di quegli incredibili occhi verdi.
“… oh.” aveva commentato Momo, stringendo appena le labbra in una linea sottile. “Non mi piace, ha l’aria cattiva.”
Avrebbe potuto giurare di aver visto una vena scoppiare sulla fronte del ragazzino.

“Non mi piace.” Fece eco lui, con poco più d’un sussurro risentito. “Ha l’aria stupida.”
Ma la nonna aveva sospirato, prima di scuotere leggermente il capo con quel sorriso incorniciato di rughe.

“Ah, mi sa che non ci si può far niente.”
Non era una bella prospettiva.

“D’altronde, i parenti non si possono mica scegliere, ne, Momo-chan?”
Oh, si. Da qualche parte, il concetto riusciva ad arrivare alla sua comprensione.
Impulso elettrico che riusciva ad arrivare a destinazione, dopotutto.

“Toushiro-chan, lei è Momo. Momo-chan, Toushiro.”
Il ragazzino si limitò a batter ciglio quando Momo azzardò un sorriso sulle labbra.
Poi, le fece una linguaccia.

“Cercate, perlomeno, di andare d’accordo.”
Momo pensò che sarebbe stata di sicuro un’ardua, ardua impresa.



“Ho fatto di nuovo un incubo, sai?” mormorò, un sussurro alle spalle di lui.
Toushiro si limitò ad un mugugno, segno che aveva perfettamente udito ciò che lei aveva detto.

“A te non capita mai, Shiro-chan? Di sognare…?” una piccola pausa. “Di quando eri vivo, intendo.”
Lui non rispose subito, quasi si stesse prendendo il tempo per elaborare al meglio la risposta, o per vagliare, uno dopo l’altro, i sogni più recenti. Dopo qualche attimo, tuttavia, la risposta arrivò. Caustica e precisa, come sempre.

“No.”

“Oh. A me capita spessissimo.” Replicò distrattamente lei, fantasma di sorriso sulle labbra. “C’era un uomo, che chiamavo papà, nel mio sogno.”
Il ragazzino rimase in silenzio, guancia calda contro il cuscino freddo.

“Era un bell’uomo, sai? Alto e forte. Aveva i capelli scuri, e gli occhi dello stesso colore dei miei. Stava lì, sulla porta, con la sua cravatta, e mi guardava dall’alto, da dietro ai suoi occhiali… Mi sorrideva, e diceva ‘sono tornato a casa, Momo’, e io gli dicevo ‘bentornato papà!’ e gli stavo per correre incontro, però…” la voce piano piano le smorzò in gola, scemando nel silenzio. Serrò le labbra, chiudendo gli occhi e cercando di tener a bada il respiro. “Credo gli abbiano sparato.” concluse, con un filo di voce. “Non ricordo molto bene.”

Di tutta risposta, lui si rigirò sotto le coperte, sdraiandosi sulla schiena. Immancabilmente crucciato, fissava il soffitto. “Che importa?” sbottò, broncio fin troppo infantile sul volto.

“A te non importa per niente, Shiro-chan? Avevi anche tu, una famiglia, no?”

“Se è per questo, ce l’ho anche qui.” Fece appena spallucce, scostando lo sguardo d’un lato, vagamente imbarazzato. “… anche se non mi piace per niente, ecco.” soggiunse, quasi dopo un lieve ripensamento.
Per un attimo, lei si limitò a batter ciglio. Poi, scoppiò in una risatina debole, discreta.

“Ah, in fondo sei un tenerone, Shiro-chan!” miagolò, gettandogli le braccia attorno in quello che aveva intenzione di essere più un tentato soffocamento che un abbraccio vero e proprio. Lui per qualche momento si divincolò, apparentemente frustrato, prima di arrendersi e metter su un’espressione eloquentemente annoiata.

“No che non lo sono!”

“Sì che lo sei!”
Le argomentazioni finirono lì, seguite dal silenzio. Un silenzio che perdurò piuttosto a lungo, mentre lei continuava a tenerlo stretto, persa nel flusso dei suoi pensieri.

“Sarà anche lui qui, non pensi? Da qualche parte, nel Rukongai.” un filo di voce, appena percettibile. “… il mio papà.”
Ma Toushiro, ormai, si era addormentato.
Lei si limitò a guardarlo dormire, per qualche attimo, domandandosi distrattamente quando sarebbe stato il momento più adatto per confessargli la sua decisione di entrare nell’Accademia ed il suo sogno di diventare Shinigami.
Non aveva neanche tanta voglia di tuffarsi nella psiche contorta di quel ragazzino - che sembrava prendersela per le cose più banali ed ignorare del tutto le cose più importanti - per arrivare a capire quale sarebbe stata la sua reazione.
Magari avrebbe detto a tutti nel Junrinan che bagnava ancora il letto. O avrebbe minacciato di farlo, ricattandola. Oppure, non le avrebbe più permesso di dormire con lui, una volta sporcato il futon.
Oppure l’avrebbe seguita in Accademia.
Oppure l’avrebbe fatta rincorrere da un coniglio.

Si, un coniglio bianco con il poncho.
Ed il cappello da Cowboy.
Voleva la sua anguria, ma no, non gliel’avrebbe data, no… avrebbe preso quella di Shiro-chan e…
… uh, sono alleati contro di…

Quando Momo Hinamori si addormentò, qualche minuto dopo Toushiro, i suoi sogni non furono perseguitati da famiglie dimenticate e da nostalgia di casa, bensì furono pieni di conigli originari del Far West alleati con bambini dispettosi che reclamavano angurie.



Nel sonno, la ragazza sorrise.




Spero vi piaccia domani forse ne metto un altra ^^

ciao ciaoooooooooo
 
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Yonoa
view post Posted on 20/10/2007, 14:17




Eccomi ritornata mhuahahaha vi perseguiterò per sempre *W*

La fic di oggi si intitola "Fuyu no Kibo".
Questa fic non l'ho scritta io ma "bia-chan" *applauso*

Bene ora non mi resta che augurarvi buona lettura ^^



"E per una volta tanto, Hitsugaya Toushiro preferì essere il bambino che era"


Faceva freddo.

Tanto freddo.

Anche se, detta da lui, quell’osservazione faceva quasi ridere.

Ma il freddo che sentiva veniva da dentro.

Perché il clima, quella notte, non sarebbe potuto essere più mite e piacevole.

Ancora una volta si chiese per quale assurdo motivo si trovasse su quel tetto, a notte fonda, solo con i suoi pensieri e la ruvida sensazione delle tegole sotto alle mani.

Il suo sguardo vagò vacuo, senza soffermarsi su nulla di particolare, registrando vagamente due sparuti shinigami di ronda in quel momento.

Nel nero velluto del cielo balenò nuovamente quel volto pallido.

E, ancora una volta, Toushiro si chiese frustrato il perché.

Non era giusto.

Non era assolutamente giusto.

E tutti i suoi sforzi erano stati inutili.

Totalmente inutili.

Dal primo all’ultimo.

Perché tutto quello che, alla fine, aveva ottenuto, era stato un ricordo che lo tormentava e Momo che non si svegliava più.

Addormentata, immobile, in un letto all’interno della sede della quarta divisione.

Si era sentito impotente davanti allo spettacolo del suo corpo a terra, il pavimento macchiato del suo sangue e quell’espressione.

Cosa aveva provato Hinamori quando l’uomo che più ammirava e rispettava al mondo, l’aveva tradita in quel modo?

Lui, probabilmente, neanche poteva immaginarlo.

Aveva sentito solo disperazione e una rabbia sorda farsi strada in lui, divorandolo come una fiamma.

Ma anche quello era stato inutile, poiché Aizen si era dimostrato superiore ancora una volta, in astuzia.

Ed era rimasto lì, circondato dai resti del suo Bankai, con una ferita che spillava sangue copiosamente e un profondo disgusto per se stesso.

Non era riuscito a fare nulla.

Né a salvare Momo, né ad uccidere Aizen.

Affondò le unghie nei palmi delle mani, tanto a fondo da arrivare a gemere per il dolore.

Anche se, forse, il dolore non era dato dal fatto che gli otto piccoli tagli sulle sue mani sanguinassero implacabili.

Probabilmente, quello che in quel momento gli provocava quel dolore straziante era il pensiero che Hinamori forse non si sarebbe svegliata mai più.

< Maledizione. > sussurrò.

Si passò stizzito una mano sugli occhi, per cancellare due sottili scie argentate.

Gli veniva quasi da ridere.

In fondo, per quanto cercasse fortemente di negarlo in tutti modi, lui era solo un ragazzino.

Aveva centinaia di anni sulle spalle, ma restava un bambino.

Nulla di più.

E come i bambini si rifiutava di accettare le cose.

Non le capiva.

Cercava scappatoie inutili.

Scappatoie che, in fin dei conti, non c’erano.

Aveva fallito.

E basta.

Hitsugaya Toushiro, capitano della decima divisione, aveva fallito.

Succede, gli avrebbero detto in molti.

E per quanto anche lui lo sapesse benissimo, quella volta, quel fallimento, non riusciva ad accettarlo.

Per quanto cercasse di convincersi di essere capace di sopportare la situazione, sapeva bene di non esserne in grado, in realtà.

Un reiatsu conosciuto lo avvolse, con tenerezza quasi.

E la figura di Matsumoto Rangiku gli si affiancò, in piedi.

Non spostò lo sguardo sulla donna.

Non le rivolse parola.

Tanto lei sapeva.

Sapeva sempre, come si sentiva.

Quasi fosse stata sua madre.

Inconsciamente il pensiero lo fece sorridere.

Lievemente.

E con malinconia.

Il volto della sua vera madre.

Non lo ricordava più, ormai.

Ricordava solo dei luminosi pomeriggi estivi passati insieme ad una ragazzina sorridente che, con lo sguardo sognante, gli raccontava quanto desiderasse entrare a far parte della quinta divisione.

E ricordava anche un bimbetto dall’aria strafottente che la ascoltava con espressione annoiata, mangiando cocomero.

Era quella la sua infanzia.

Quella la sua famiglia.

Quella ragazzina, ora cresciuta.

Quella ragazzina, che non si svegliava.

Più semplicemente, forse Momo non provava neppure il desiderio di farlo.

Forse non c’era nulla di davvero importante per lei, per cui valesse la pena di lottare, di cercare di riguadagnarsi la vita.

Il pensiero lo ferì.

Ancora più in profondità.

Lo fece sanguinare.

Perché per lui Momo era importante.

Senza di lei, per quanto l’avesse sempre tratta con leggerezza, non avrebbe saputo fare nulla.

Senza di lei si sarebbe sentito solo.

Senza di lei non avrebbe avuto nessuna ragione per cercare di apparire adulto, di farsi rispettare.

Senza di lei non avrebbe avuto nessuno da amare.

Nessuno da proteggere.

Nessuno da desiderare.

La sua vice gli si sedette accanto.

Sospirò.

Con la coda dell’occhio la vide aprire appena le labbra, come per dire qualcosa, per poi richiuderle.

Anche per lei tutta quella situazione non era certamente facile.

Anche se sapeva poco e niente del suo contorto rapporto con Ichimaru.

Ma per una volta Toushiro si voleva permettere di fare l’egoista.

Di pensare solo a se stesso.

Ai suoi problemi.

Si morse le labbra.

Forte.

A sangue.

Non era decoroso che un capitano del Gotei 13 piagesse così.

Anzi, non era decoroso che mostrasse anche solo debolezza.

Non davanti ai suoi sottoposti.

< Taichou. >

Un sussurro leggero.

Due braccia che lo stringevano.

Ne aveva bisogno.

Aveva bisogno che qualcuno lo trattasse come il bambino che era.

E non si vergognò quando ricambiò la stretta della donna.

Aveva il profumo di una madre.

O per lo meno, lo stesso profumo che lui immaginava una madre potesse avere.

Non si vergognò quando le lacrime riuscirono a sfondare gli argini e a scivolare libere sul suo volto.

Non si vergognò quando percepì Matsumoto sorridere.

Con tenerezza.

Con tristezza.

< Taichou…si sveglierà. >

Non volle ascoltare le sue parole.

Non in quel momento.

Voleva solo essere stretto.

Essere cullato.

Come un bambino.

Perché i bambini hanno sempre speranza.

E anche lui voleva aggrappasi alla speranza.

La speranza.

Che lei si svegliasse.

Ma una voce, gli disse il contrario.

Una voce adulta.

Lei non si sarebbe svegliata.

E per una volta tanto, Hitsuagaya Toushiro preferì essere il bambino che era.



FINE



Sigh! Questa fic fa letteralmente piangere T^T

Mannaggia a me che l'ho postata ora non la smetto piùùùù
 
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Mr Prince
view post Posted on 11/2/2008, 11:18




Waaaaaaaaaaaaaaaaaaaa strepitoseeeeeeee



sei miticaaaaaaaaaaaaa *_*
 
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2 replies since 19/10/2007, 14:51   100 views
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